LA LEGGENDA DI SEBASTIANO ANGELI

Come si conosce Colomba in tanti dettagli e particolari? Attraverso la Legenda, narrazione della vita della Beata opera di Sebastiano Angeli, frate domenicano, confessore della stessa Colomba. Egli aveva un modello iperconsolidato: la Legenda di Caterina da Siena scritta da Raimondo da Capua.

L’Autore

La legenda di Colomba è “opera d’autore” non solo perché firmata, ma per la presenza costante del narratore che si fa protagonista accanto a Colomba, all’ombra di Colomba, insieme a Colomba. Se è vero – come è vero – che un biografo – e tanto più un agiografo – non fa certo opera di ricostruzione storica neutra ed oggettiva, Sebastiano s’impone senza dubbio per l’impronta soggettiva impressa alla narrazione.
Il padre Sebastiano non fu che uno dei confessori di Colomba (dal 1494 al 1497); anche altri l’hanno venerata come, ad esempio, il vicario dell’Osservanza della Tuscia, come Michele da Genova, l’ultimo confessore, che indirizza a Vanna, madre di Colomba, tre lettere dopo la scomparsa della Beata; ma, fra loro, fu il solo Sebastiano ad “appropriarsi” della vita della mistica reatina tanto da creare una sorta di intreccio Sebastiano-Colomba, un intrico da cui talvolta non è facile uscire perché abbiamo solo la voce narrante di Sebastiano. La storicità di Colomba, la sua presenza a Perugia, l’eccezionalità della sua vita religiosa e il carisma di santità, che il popolo e le autorità cittadine le attribuivano, sono elementi oramai acquisiti e provati da altri generi di documentazione, ma la narrazione biografica delle vicende si affida al solo Sebastiano.
Senza dubbio Sebastiano è personaggio complesso. Sicuramente immerso nel filone dell’Osservanza, è comunque difficile dire quanto, se, in che misura egli sia stato in effetti stretto seguace del Savonarola o ne abbia invece afferrato la eco, come poteva essere normale in quel momento storico. Il Sebastiano redattore della legenda intende chiaramente prendere le dovute distanze dal frate di Ferrara; vuole distaccare se stesso e Colomba da qualsiasi sospetto in proposito. Certo Sebastiano scrive a tempesta passata e non poteva fare diversamente, non poteva cioè che allinearsi e, quindi, eventualmente coprire ed annullare trascorsi pericolosi. Frate colto, non solo esperto di teologia e di filosofia morale, ma anche di altre arti, tra cui l’astrologia, più volte priore del convento perugino (1480, 1497, 1507) ed anche priore provinciale della Provincia Romana (1510-1515), il padre Sebastiano seppe – se mai vere implicazioni vi furono – uscire indenne dagli avvenimenti savonaroliani.
Divenne – stando alla sua narrazione – confessore di Colomba quasi per caso. Il confessore ufficiale si era ammalato ed egli ne prese il posto non senza l’intento di indagare sulle reali qualità e doti di Colomba: «me arbitrava omne sua cautela penetrare e i(m)parare l’arte de li suoi rapti e la simulatione de la abstinentia». Sebastiano ci tiene a sottolineare la sua iniziale diffidenza, la sua accortezza nell’osservare Colomba anche nelle manifestazioni e funzioni corporali, i suoi dubbi, le sue ossessive incertezze. Il suo stesso dubitare e la soluzione data alle sue perplessità avrebbero dovuto porsi come elementi probanti della sincerità e dell’autenticità della figura di Colomba. Una strategia narrativa che avrebbe voluto essere convincente. Strategia narrativa sì, ma probabilmente sulla base di reali esitazioni; fu l’autenticità del comportamento di vita di Colomba a convincere Sebastiano? fu l’aver afferrato l’opportunità di poter disporre di un personaggio dalle qualità “straordinarie”? un personaggio di richiamo per la città, per l’Ordine, per le terziarie domenicane? fu tutto questo insieme e forse altro? Certo è che Sebastiano si “impadronisce” di Colomba, unico in una schiera di confessori.
Confessore di Colomba, dunque, ma da tale incarico fu rimosso; nel dicembre 1498 il ministro generale Gioacchino Torriani è drastico nello stabilire:

«Mandatur fratri Andree de Perusio quod recipiat sororem Columbam in filiam spiritualem et eidem sorori Columbe precipitur quod de cetero non audeat facere confessiones suas nisi cum fratre prefato neque audeat loqui cum aliquo fratre nostri Ordinis seu alterius sine licentia fratris Andree».

Anche se un anno dopo lo stesso Torriani attenua questo provvedimento – «conceditur sorori Columbe quod possit habere coloquium cum patribus nostri Ordinis bene moratis et magister Valentinus et frater Andreas in casibus necessitatum possint eidem de confessore providere …» – frate Sebastiano non sarà più il suo confessore, pur riacquistando la possibilità di dialogare con lei.
Sebastiano fu un confessore discusso ed egli stesso non nasconde, ma addirittura dà ampio spazio narrativo al clima di sospetto in cui fu coinvolto, costretto a giustificare se stesso e Colomba.

La data di redazione

Per la datazione della stesura della legenda volgare si devono considerare come termini di riferimento l’episcopato di Troilo Baglioni – 1501-1506 – e la morte del Valentino (+1507) dato nel testo ancora per vivente; gli anni 1506/1507 potrebbero essere il termine post quem, cioè dopo il quale la versione in volgare è stata portata a compimento. Va notato che mentre padre Sebastiano menziona esplicitamente Pio III (+ottobre 1503), nessun riferimento è riservato a Giulio II (eletto nel novembre 1503), forse perché ormai questo pontefice è lontano dal tempo della vita di Colomba? dai fatti, dagli eventi che l’avevano coinvolta? forse perché frenò la “signoria” baglionesca a Perugia (1506)? forse mera casualità…
Manca invece un elemento preciso per stabilire quando abbia concluso il lavoro di traduzione, mentre il fatto che il testo sia giunto in unico esemplare potrebbe ricondursi alla dichiarata «carestia de scriptore».

Sebastiano-Colomba/Raimondo-Caterina

Quando Sebastiano Angeli si pose a scrivere la legenda della sua beata aveva davanti a sé un iper-modello consolidato: la legenda di Caterina da Siena scritta da Raimondo da Capua. È lo stesso Sebastiano a palesare una piena coscienza ed una precisa volontà di assimilare Colomba a Caterina nella misura in cui – davanti ad Alessandro VI – giura che «per quanto cognosco perfino a quisto te(m)po, si nella legenda de sancta Catherina da Siena, mutuato el vocabolo, sia posta suora Colomba, ciò che de essa essentialmente de custumi e de facti ogni cosa se ne verifica totalmente». È lo stesso Sebastiano a raccontare che Colomba si faceva leggere la legenda di Caterina, traendone motivo di fervore, «et se sforçava de la ymitare a ogni modo». Traspare ovunque, del resto, nel testo della legenda la devozione di Colomba per Caterina.
Non v’è dubbio che le affinità tra le due legendae sono di fatto numerose. Sebastiano ha senza dubbio mutuato da Raimondo l’esaltazione della verginità della sua beata, il legame sponsale con lo Sposo per eccellenza, le avversità ingenerate dall’ «antico avversario» e quindi le lotte con i demoni, temi che percorrono da cima a fondo entrambe le legendae. Ma si possono fare più dettagliati esempi.

Visioni, rivelazioni, estasi, spirito di profezia, da un lato, opposizioni, avversioni, chiacchiere, mormorazioni, calunnie, dall’altro, sono ingredienti di cui sono intessute entrambe le legendae, due poli entro i quali iscrivere la santità delle due biografate che, per un verso, godono di potenti ed eccezionali doti divine, ma proprio per questo, per altro verso, sono soggette a critiche ed a giudizi non benevoli. La stessa pratica dell’astinenza è oggetto di mormorazioni ed indagini.

Un elemento di diversificazione tra le due sante “affini” è palesemente costituto dall’attività politica. Raimondo dovette misurarsi con un personaggio femminile che svolse veramente un ruolo politico; una religiosa, ma pur sempre una donna priva di qualsiasi autorità pubblica: che fare? Si trattava per Raimondo di giustificare il ruolo politico cui Caterina era assurta; lo fece esaltando in primo luogo le sue eccezionali doti spirituali, penitenziali, mistiche, profetiche: queste sono la premessa e la motivazione profonda per cui Caterina è legittimata ad agire sulla scena politica del mondo. Per Colomba non si può parlare di una vera e propria attività politica incisiva come quella di Caterina; pur possedendo doti mistiche e profetiche al pari di lei, il suo ruolo non si spinge al di là di consigli, premonizioni, ammonimenti, richiami; Colomba non va “in missione” presso la curia pontificia, non viene inviata quale “ambasciatrice”, se mai è consultata come una sorta di “oracolo”, come voce sacrale in grado di preconoscere, in grado magari di offrire qualche rassicurazione e protezione.
Caterina e Colomba: affinità e diversità, un tema aperto ad approfondimenti così come credo meriti attenzione il raffronto Raimondo/Sebastiano.
Entrambi “modellano” le loro sante e lo fanno in modo diretto e fortemente personalizzato, non solo perché si firmano e si dichiarano, ma perché costantemente intervengono in prima persona.
Raimondo è voce di testimone narrante: racconta episodi e fatti cui ha assistito o che la stessa Caterina gli ha riferito, parla dei suoi rapporti con la Santa, delle confessioni di lei a lui, riporta i loro dialoghi, non trascura le testimonianze di altri, tutto teso ad esaltare le doti, le qualità, le virtù straordinarie della sua biografata in vista di una possibile canonizzazione; Raimondo si esprime sempre in prima persona, ma ciò non esclude che il suo narrare sia finalizzato alla figura di Caterina. Sebastiano alterna la prima persona e la terza («el sene», «esso reverendo patre», «esso confessore») in un gioco che forse vorrebbe lasciare ad intendere un certo distacco, ma in realtà egli è “invasivo” e racconta episodi che lo coinvolgono anche personalmente. Raimondo, pur con la sua onnipresenza, appare più “discreto”, Sebastiano s’impone a tratti come protagonista che deve difendersi da sospetti di cui in fondo è l’oggetto principale: segno di un clima reso probabilmente più drammatico dal dualismo AlessandroVI/Savonarola.